Il Racconto di capodanno di Peppa Ursoni
Era ieri; l’ultimo dell’anno. Vado a trovare la mia bisnonna in geriatria a Venezia che non ne vuole sapere di levarsi dalle spese. Oggi tocca a me; mia nonna ha il diabete e mia mamma ha vegliato per dieci giorni consecutivi, natale e santo stefano compresi.
Nella stanza con la bisnonnina c’è quella con l’Alzheimer che urla “GRAAAAHHHHH”, poi una colla lingua tutta di fuori e di lato che non so proprio come faccia così innaturale che è là, e una legata che bisbiglia continuamente “aria…aria…aria…” e via così.
La mia bisnonnina invece dialoga fitto fitto coi moscerini sul pavimento che non sento una madonna ma che se ci fai una domanda del tipo “haimangiato” o “haidormito” si sveglia di colpo con un “COOOSAH?!” che ti ribalti indietro colla carega che poi ci pensi meglio, a farci delle domande su ste cose fisiologiche.
Questa è la stanza; io e le vecchie. Finché non entra la figlia di quella con l’Alzheimer. Una tardona che si trascina come Madame Medusa. Ma senza i coccodrilli, così ci perde in grinta. Poi c’è la faccenda della psoriasi, che si gratta con quelle unghione facendosi nevicare squame tutto intorno e uno comincia a pensare a chi se la prende sta qua.
Com’è e come non è, Madame Medusa si appoggia al capezzale della madre. In piedi, afferrando il tubo ai piedi del letto. Si tiene insomma. Sta per crollare. La palpebra comincia a tremare e di colpo si stampa il mento sul petto. A posto così; senza coccodrilli di guardia, la psoriasi e pure narcolettica.
Cronometro sette minuti esatti e MM rialza la testa e mi guarda con l’occhio da tossica:
– “ma tu (pausa indecifrabile) cosa fai per capodanno?”
– “ma non so (pausa di sgomento) gli amici; devo ancora sentirli…”
– “ma io avevo organizzato tutto (pausa. Viaggetto nell’Ade e ritorno) ma ho dovuto mandare tutto a monteee” (piagnucola)
– “eh, succede (pausa di circostanza checazzodicoioaquesta?)”
– “non me la sento con lei qua in questi stati (si gira verso la madre – “GRAAAAHHHHH” – mia bisnonna – “COOOSAH?! EH, SI’ NON SI PUOOOH!”- si rigira verso di me e mi mostra le unghione frignando su popò di lavoro che le hanno fatto e quanto ha speso per sto lavoro)
Ammiro le nails dipinte dalla manicure. Sfondo rosa. Sugli angoli la sezione dell’orologio disegnata con dei brillanti segna il conto alla rovescia verso la mezzanotte. Manca cinque sul pollice, tre sull’indice, due sul medio, uno sull’anulare e il botto di champagne sul mignolo.
Se non fossi il sindaco di questa città mi sarei commosso. Perché alle persone bisogna anche volerci bene. Anche a una poveraccia come Madame Medusa e la sua sgangherata solitudine. Orrenda donna che cade a pezzi ma che continua il suo sogno d’amore. Ce lo puoi anche perdonare il casto Kitsch di una mezzanotte che non arriverà mai.
Sì, perché io resto il sindaco. E l’unica cosa che mi viene in mente di dirle per levarmela di torno è che tanto, al conto alla rovescia, si sarebbe addormentata sull’anulare-manca-uno ficcandosi l’unghia tra le squame della fronte.